Testimonianza di Rose Busingye (Uganda)

Saluto tutti!

Dicevo che forse siete voi testimoni, non sono io. Perché tutta questa moltitudine di gente mi conferma che c’è Qualcosa di più grande. Ho letto il tema del Pellegrinaggio, una piccola frase: "Mostrami prima l'uomo che è in te, e poi io ti mostrerò il mio Dio". 

La genialità di un padre ci ha fatto fare i passi, un cammino sulla fede, per scoprire in questi anni la nostra umanità, attraverso la Scuola di Comunità. Attraverso la fede abbiamo scoperto noi stessi; scoprendo la contemporaneità di Cristo, ci siamo scoperti uomini. Incontrando Dio non scopri soltanto Dio, ma scopri sopratutto chi sei tu. La genialità di Carron è stata quella di farci cominciare la Scuola di Comunità lavorando sulla fede: nella fede sta la fine della schiavitù. È un altro mondo, un mondo nuovo. Un altro modo di vivere, di trattare se stessi, di trattare la propria moglie, i figli, il lavoro, trattare tutto in modo diverso. Per me è stata una cosa che mi ha scombinato la vita, specialmente la carità, che diventa Dio stesso, il cuore di Dio, come ci comunica il Papa in Deus caritas est: «sopraffazione della ragione da parte di una "pazzia divina" che strappa l’uomo alla limitatezza della sua esistenza e, in questo essere sconvolto da una potenza divina, gli fa sperimentare la più alta beatitudine. Tutte le altre potenze tra il cielo e la terra appaiono, così, d’importanza secondaria» (Deus caritas est, 4).

Per me veramente questo è un altro mondo; un mondo dove so da dove vengo, dove sto andando e qual è il senso profondo della mia esistenza. La coscienza di questo amore, di questa commozione, è ciò che costituisce la vita. È un modo nuovo di concepire la vita, di usare le cose, il lavoro in modo giusto. La fede che fa me fa ciò che sono, entra nelle mie viscere, penetra gli strati più profondi della mia umanità (anche quelli nascosti) e diventa il criterio… di me e delle cose.       

Questo ti fa vivere bene, ti fa godere tutto; non solo ti fa conoscere Dio, ma soprattutto ti fa conoscere te stesso, ti fa scoprire te stesso e le cose in un modo giusto, ed è bello. C’è un punto di partenza: che Dio si è commosso verso di me, che ero niente, che sono niente. Se ognuno di noi guarda sinceramente, non per analizzare moralisticamente, ma per vedere, capire, stupirsi della grandezza di questo amore di Dio… Perché se ti fidi il gesto è di Dio verso di te. Se ci credo è la strada perché io possa riconoscermi e vivere questa appartenenza, questo attaccamento a Dio.    

Obbedendo alla compagnia della Chiesa, questo mi fa arrivare alla felicità e alla pace per me e per gli altri. Sto dicendo questo perché quando ho cominciato a lavorare, da piccola, sono partita anche pensando di lavorare per Dio, per Gesù. Sono nata in una famiglia cattolica, e di questo sono orgogliosa; sapevo chi era Dio, chi era Gesù. Dopo la scuola sono partita di corsa per lavorare con i malati di AIDS, i poveri, gli orfani, nei sobborghi di Kampala, la capitale dell’Uganda. Mi sembrava che (forse) ero riuscita ad aiutare gli altri: 2000 pazienti, 2500 orfani di AIDS e altri con diversi problemi (divorzi, guerre, ecc.). Lavoravo per Cristo, per la Sua presenza, ma quello che vi sto per dire è che uno diventa protagonista della realtà, e la realtà diventa sua, quando scopre di chi è, cioè quando ti scopri appartenente. Finché le cose andavano bene pensavo: "Ce l’ho fatta! Sto vivendo bene!". 

È arrivato però un momento in cui tutto quello che facevo andava come non volevo. Nessuno era contento: i malati che curavo si lamentavano lo stesso; i poveri a cui davo da mangiare brontolavano lo stesso (non gli bastava niente); i bambini che nutrivo e portavo a scuola rubavano lo stesso, non volevano più andare a scuola, nonostante fosse pagata; gli amici peggio ancora. Mi è venuto di scappare, perché era ancora peggio degli amici, perché non andava bene niente. 

Volevo scappare, andare nell’isola dove non c’è nessun uomo, dove ci sono solo insetti. Sono ripartita a vivere, a lavorare veramente quando ho avuto Qualcuno che mi ha detto: "Tu sei Mia". Ho cominciato a vivere, ho cominciato a intravedere un significato per la mia vita. È stato come se una luce illuminasse tutto. Ho cominciato a scoprire la verità della mia stessa vita e da qui è cominciata un’attrattiva, un’affezione, una tenerezza per la mia stessa vita e per gli altri. Ho cominciato a vivere e lavorare quando ho saputo concretamente rispondere alla domanda "Di chi sono?". Quando questa domanda ("Di chi sono?") ha avuto facce precise, che hanno nome e cognome, sono diventata libera. Paradossalmente sono diventata libera appartenendo, cioè avendo un legame. Quando sei libera finalmente puoi stare di fronte a tutta la realtà senza paura. Puoi affrontare tutta la realtà perché sai di chi sei. Chi è libero non pretende più dagli altri, perché ha già tutto. 

Quando ho scoperto me stessa mi sono ricordata che la Presenza che vivevo io era quello che immaginavo io. Infatti sembrava che correvo dietro a Gesù come per afferrare qualcosa cui non sarei arrivata mai. Anche Cristo sembrava una cosa da rincorrere alla fine della giornata. Ero stanca e in crisi. Invece nell’appartenenza a Lui ho scoperto me stessa, chi sono io e qual è il senso di tutto quello che faccio. Sono andata in crisi perché pensavo che tutto dipendeva da me. Ora, invece, ho una conoscenza nuova di me e della realtà. I poveri, i malati, i bambini… ciò che gli do non è un tappo al loro desiderio, ma è per introdurli a un desiderio più grande, a una consapevolezza nuova. Le medicine, il cibo, ecc. sono lo strumento per dirgli: "Tu sei più grande di questo, sei più grande di quanto puoi immaginare e tu stesso sei responsabile". Tutti gli aiuti che gli offro sono per introdurli a Qualcosa di più grande di me, che non possiedo io, ma che possiamo riconoscere insieme. 

Lavorare e aiutare gli altri per me è diventato favorire e far venire a galla il valore del singolo, offrire un’amicizia puntuale a cui possono appartenere. L’io appartenente diventa protagonista perché ha un volto, riceve una coscienza unificante sè e la realtà. Tu diventi signore della realtà non perché la possiedi tu, ma perché la scopri fatta da un Altro, perché dipende da un Disegno che non è tuo. 

Il mio lavoro è nato dalla mia appartenenza a un punto preciso. Il mio lavoro non è un’aggiunta alla mia vocazione come Memores Domini, ma significa essere affettivamente compiuta. Ciò che posso dare agli altri è questa sovrabbondanza del mio rapporto con Cristo dentro la casa; ciò che do agli altri è il fiorire della mia vocazione, sono i frutti della pienezza dell’appartenenza a Cristo a un luogo preciso, la scoperta di una paternità in atto dentro la vicenda della mia giornata, della mia esistenza. 

Da questo fatto, cioè dalla fede, ho visto l'avvenimento di un popolo cambiato; un popolo povero, malati che vivono solo spaccando i sassi. Quello che guadagnano lo ottengono vendendo questi sassi ai costruttori. Dopo lo tsunami e l'uragano Katrina, mi hanno detto: "Queste persone ci appartengono, se appartengono a Dio appartengono anche a noi; gli vogliamo mostrare che gli vogliamo bene". Io ho detto: "Siete poveri anche voi e non possiamo fare niente, quindi facciamo un preghiera". Una di loro che pesava soltanto trenta chili mi ha detto "Quando mi hai incontrato non hai solo pregato, anche noi vogliamo fare del bene agli altri perché questa gente se appartiene a Dio appartiene anche a noi" e poi hanno detto "Quando uno vuole bene non fa solo carità per quelli che conosci; questi americani sono nostri, ci appartengono". Si sono organizzati gruppi di dieci persone a spaccare i sassi in fretta, insieme; dopo quattro settimane avevano già tirato fuori 2000 dollari. Li hanno dati all’Ambasciata Americana per mandarli a New Orleans e poi un giornalista è venuto e ha detto: "Non è giusto, perché uno che fa carità dà le cose che gli avanzano, invece questi qui hanno dato tutto quello che hanno". Una donna le ha risposto: "Guarda che il cuore dell’uomo è internazionale: non ha razza, non ha colore, si commuove". 

L’anno scorso è successa un’altra cosa a L'Aquila e loro hanno detto: "Questo fatto ha toccato il nostro popolo, il popolo del Papa, la tribù di Don Giussani: adesso ci muoviamo". Hanno fatto lo stesso, hanno raccolto 2000 euro che hanno mandato a quelli de L’Aquila. Concludo. È proprio un uomo appartenente che diventa libero e grande. Anch’io sono diventata libera, grande perché qualcuno mi ha svelato chi sono io. Era evidente che non ero niente, invece mi sono sentita abbracciata e desiderata. Era come se il Suo sguardo mi dicesse: "Tu sei mia, voglio stare con te, hai un valore infinito". Da quello sguardo è nato tutto. In quello sguardo, infatti, ho scoperto che non sono definita dai miei limiti, ma quel rapporto personale con cui Dio mi fa essere, mi costituisce come desiderio infinito di Lui. Quello sguardo di appartenenza a Cristo e alla Chiesa è diventato per me un’esperienza e un legame che mi definisce per sempre, che si manifesta in tutto ciò che sono e faccio. Quello sguardo ha stabilito quindi il contenuto e il metodo del mio lavoro: comunicare la commozione per la grandezza sconfinata dell’esistenza di ciascuno ed offrire la stessa compagnia al destino che abbraccia la mia vita. 

Questo, che ho visto riaccadere in altri, è accaduto anche a me. Per esempio, una donna sfigurata nel corpo e nella psiche, dalla violenza subìta dai ribelli, ha ritrovato se stessa quando le ho detto: "Tu non sei l’orrore che ti è capitato, tu sei il valore infinito che ti viene da Dio, che ti fa essere e ti ama”. E tanti altri per cui la vita non aveva più significato ora sanno che l’esistenza di loro e di tutti ha una grandezza infinita e che sono legati per sempre ad una compagnia che li aiuta a vivere la ricchezza di questa dignità. 

Grazie.