Il poeta Davide Rondoni introduce e legge l'Infinito di Leopardi durante il pellegrinaggio
200 anni fa non lontano da qui viveva un ragazzo di circa 20 anni con il cuore e la mente inquieti per due evidenze.
La prima evidenza è che siamo colpiti dal dolore quando finisce qualcosa che amiamo. L’altra evidenza è che, però, nella natura attorno a noi non c’è nulla che non ha fine. Le montagne finiscono, il cielo si può misurare, i nostri anni finiscono. E allora, come si fa a vivere desiderando l’infinito per ciò che amiamo, per ciò che ci piace, sapendo però che in natura non c’è nulla di infinito?
Attraversato da questa inquietudine, Leopardi va dietro casa sua e, come a volte facciamo anche noi, prova a immaginarsi l’infinito: «nel pensier mi fingo» – dice a un certo punto –, provo a farmi un’immagine dell’infinito, ma questa immagine è impossibile (non possiamo nemmeno concepire con l’immaginazione qualcosa di infinito!). E infatti dirà che quando prova a immaginarsi l’infinito il cuore quasi «si spaura», si ferma, si intimorisce.
Però in questa poesia succede qualcosa, succede il vento. Sentirete che si alza un vento, che è un segno biblico, un segno che gli va incontro. E allora, «comparando» (dice «vo comparando»), cioè guardando qualcosa che non si vede attraverso i segni che manda, si può fare l’esperienza di un abbandono fiducioso al tempo e all’eterno insieme, ad una unità strana tra eterno e tempo, che è fuori dalla nostra forza, perché ci viene donata.
È una poesia prodigiosa, magnetica, che ogni volta ci ricorda che siamo fatti di infinito e per l’infinito, che nessuna identità tra quelle che ci propone la cultura dominante di oggi è veramente adeguata alla nostra persona. Siamo fatti del problema dell’infinito, e per cercarlo, ma occorre non immaginarselo, non fingerselo in mente. Occorre stare attenti ai segni, come un vento leggero tra le piante, che arriva e ti fa vedere quello che non si vede, ti fa accorgere di qualcosa che i tuoi sensi da soli non potrebbero percepire.
Per questo, per chi cerca l’infinito, la cosa importante è stare attenti ai segni, non seguire la propria immaginazione; l’attenzione ai segni, anche quelli più semplici, come lo sguardo degli amici, come certi gesti semplici, che sono come un vento tra le piante e che permettono al tuo viaggio di essere visitato sempre da un vento, da qualcosa che non si ferma.
L’Infinito
(G. Leopardi)
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.