Messaggio di don Julián Carrón per il 43° Pellegrinaggio
Cari amici, in questo anno così vertiginoso non avete potuto evitare di pensare al vostro Pellegrinaggio alla casa della Madonna senza legarlo alla parola «speranza». Immagino sia stato naturale per voi fare questo nesso: proprio la pandemia in cui siamo ancora immersi ci ha fatto rivolgere i nostri occhi a Lei.
Che cosa può favorire la consapevolezza del nostro bisogno di speranza?
«Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla» (Francesco, Omelia di Pentecoste, 31 maggio 2020). Che eco ha trovato in noi l’appello che il Papa ha lanciato un anno fa? È innanzitutto per una lealtà con noi stessi che non possiamo sprecare – riducendola a un incidente di percorso – una crisi che ha coinvolto tutto il mondo.
L’urto della realtà è stato così forte che sono emerse domande che forse non pensavamo di avere, è esploso un disagio che ci ha impedito di rifugiarci nel già saputo e soprattutto si è aperta una voragine che nessun proposito o strategia ha potuto colmare. Meno male! Perché – paradossalmente – ci hanno costretto, in un modo o nell’altro, a riprendere in mano la nostra vita. Per molti, che all’inizio le consideravano come ostacoli, le domande, il disagio e la voragine del cuore sono diventate nel tempo delle opportunità per fare un cammino umano.
Fra le tante, c’è una domanda che oggi non possiamo evitare, l’abbiamo vista scaturire dalle nostre viscere come un grido: dopo tutto quello che abbiamo passato, è ancora ragionevole sperare? Non so voi, ma io non posso ricominciare ogni mattina senza chiedermelo. Don Giussani la traduceva con queste parole: «Gli uomini, giovani e non più giovani, hanno bisogno ultimamente di una cosa: la certezza della positività del loro tempo, della loro vita, la certezza del loro destino» («Cristo, la speranza», CL Litterae Communionis, n. 11, novembre 1990, p. 18). Senza certezza non c’è speranza. Di questo noi siamo attesa.
Ma tanto attendiamo un compimento, quanto non siamo in grado di generare noi, con le nostre forze, la felicità che desideriamo. E quando ci proviamo, vediamo tutti i limiti dei nostri tentativi: il disagio aumenta, e questo è un segno della nostra grandezza: niente riesce a soddisfare la nostra sete di vita. Per questo ha ragione Montale quando afferma che «un imprevisto è la sola speranza». È ragionevole riconoscerlo. Eppure subito dopo aggiunge: «Ma mi dicono ch’è una stoltezza dirselo» («Prima del viaggio» in E. Montale, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1990, p. 390). Questa è la tentazione che si insinua nelle pieghe della vita quotidiana e ci fa andare contro la suprema categoria della ragione: la possibilità. Rimanere aperti è decisivo, semmai da qualche parte arrivi un cenno di risposta. Negando la possibilità, rimaniamo come bloccati e finiamo per non attendere nulla.
Ma qualcosa è accaduto. Da duemila anni l’uomo è raggiunto da una notizia tanto imprevedibile quanto reale: l’attesa del cuore, l’infinito che cerchiamo in ogni nostro fare, è diventato presenza umana, visibile, toccabile: il Verbo si è fatto carne. La Santa Casa di Loreto ne reca l’annuncio.
«Quando vedo te, vedo speranza», dice la canzone scelta come titolo del Pellegrinaggio. Possiamo dirlo della Madonna, che sfida il nostro scetticismo e incoraggia la nostra speranza. Soprattutto quest’anno abbiamo un bisogno urgente di speranza, di una speranza affidabile. In tanti sono sfiduciati e scoraggiati, molti hanno gettato la spugna perché messi in ginocchio dalla malattia, dalla morte di una persona cara o dalla crisi economica.
Davanti alla Madonna, come davanti a nostra madre, possiamo avere il coraggio e la libertà di essere noi stessi, disarmati come siamo, senza dovere essere all’altezza della situazione, perché mai saremo all’altezza, dal momento che il nostro bisogno è sterminato.
Mettendoci davanti alla Madonna come mendicanti di tutto, possiamo chiederle l’imprevisto di cui abbiamo assoluta necessità per alzarci dal letto ogni mattina e affrontare il duello quotidiano tra la vita e la morte, tra l’essere e il nulla che si svolge dentro ciascuno di noi.
Qual era l’imprevisto più inimmaginabile per Maria? Il fatto più imprevisto e nello stesso tempo più atteso era Cristo. Solo Lui può fare diventare anche noi, come la Madonna, certi nella speranza. È sulla certezza della fede che fiorisce il fiore della «speranza che non delude» (san Paolo, Rm 5,5).
Il legame tra la figura della Madonna e la speranza ha una lunga tradizione, testimoniata da Dante nel suo indimenticabile «Inno alla Vergine», che don Giussani ci ha fatto imparare a memoria: «La grandezza dell’uomo è nella fede, nel riconoscere la grande Presenza dentro una realtà umana. Poiché ha detto sì alla modalità con cui il Mistero conduceva le cose, la sua vita è una luce di aurora per tutti noi e per tutti gli uomini fino alla fine, come sintetizza mirabilmente Dante nel suo Inno alla Vergine: “Qui se’ a noi meridiana face / di caritate; e giuso, intra i mortali, / se’ di speranza fontana vivace” (Paradiso, canto XXXIII, vv. 10˗12). Ella ha potuto dire di sì, e allora il Verbo si è fatto carne, è diventato Presenza. La Madonna ci introduce nel Mistero, cioè nel senso delle nostre giornate, nel significato del tempo che scorre; ci guida nel cammino il suo sguardo, ci educa il suo esempio, la sua figura costituisce il disegno del nostro proposito. Madre generosa, ella genera per noi la grande Presenza di Cristo. […] La formula più sintetica e suggestiva che esprime l’autocoscienza della Chiesa come permanenza di Cristo nella storia è: Veni Sancte Spiritus, veni per Mariam. Questa invocazione afferma il metodo scelto da Dio» (Perché la Chiesa, Rizzoli, Milano 2014, pp. 309˗310).
Con questa consapevolezza possiamo vivere il Pellegrinaggio senza che nulla ci manchi. Anche se spogliato di nuovo della sua forma consueta, niente ci impedisce di camminare, lì dove siamo, tutti presi da Colui che è tra noi. Afferrati da Cristo così come siamo, «bestiali come sempre, carnali, egoisti come sempre, interessati e ottusi come sempre […], / Eppure sempre in lotta, sempre a riaffermare, sempre a riprendere la […] marcia sulla via illuminata dalla luce; / Spesso sostando, perdendo tempo, sviandosi, attardandosi, tornando, eppure mai seguendo un’altra via» (T.S. Eliot, Cori da “La Rocca”, Bur, Milano 2010, p. 99).
Che cosa speriamo in questo momento? Molti rispondono: il ritorno alla normalità. Ma quale? Vivere costantemente nella Sua compagnia è la «normalità» che desideriamo.
Vi auguro di imbattervi costantemente in persone di cui possiate dire: «Quando vedo te, vedo speranza», persone che rinnovino l’esperienza entusiasmante di quell’imprevisto che rende la vita vita. Persone che sostengano la nostra speranza. Per questo domandiamo alla Madonna il dono di occhi spalancati per intercettarle e seguirle.
Sempre in cammino
don Julián Carrón