Omelia di S.Em. il Cardinale Carlo Caffarra
1. Cari fratelli e sorelle, che cosa è che mette in movimento tutto l’io della peccatrice da spingerla ad un effusione quasi priva di controllo? Che cosa è che impedisce alla presenza di Cristo di rompere il nocciolo duro della mentalità del fariseo che invita Gesù a pranzo? La narrazione evangelica in realtà si regge tutta su questa differenza: l’io della peccatrice mosso, commosso, visceralmente direi, dalla Presenza; l’io del fariseo chiuso dentro ad una mentalità che non si lascia trafiggere dalla Presenza.
La risposta è Gesù stesso a darcela, inventando una breve parabola: «un creditore aveva due debitori …». È il perdono come atto divino che mette in movimento, che commuove tutto l’io, perché è l’atto che rigenera l’io alla radice. E l’epifania, la trasparenza di un’io rigenerato è l’amore, la recuperata capacità di amare: «le sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece, quello a cui si perdona poco, ama poco».
Perché l’atto divino del perdono cambia l’io alla radice? Perché cambia in primo luogo l’identificazione del proprio io con i propri atti: «saprebbe chi è e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice». Il fariseo non comprende che proprio per il fatto che Cristo è “un profeta”, guarda quella donna non definendola, costringendola e identificandola con ciò che fa e ha fatto, ma come persona che ha alla fine un solo bisogno: amare ed essere amata. È questo sguardo di Gesù che rigenera l’io perché lo colloca nella sua verità.
È stato lo sguardo di Gesù a schiodare Pietro dal suo tradimento: «allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro … e [Pietro], uscito, pianse amaramente» [Lc 22,61-62]. La peccatrice «stando dietro, presso i suoi piedi, piangendo cominciò a bagnarli di lacrime».
Perché l’atto divino del perdono cambia l’io alla radice? Perché vedendosi amato, diventa capace di corrispondere all’amore, diventa capace di amare. Scrive Agostino: «non vi è … invito più efficace ad amare che essere primi nell’amore; e troppo duro è il cuore che , non avendo voluto spendersi nell’amare,non voglia neppure contraccambiare l’amore» [Prima catechesi cristiana 4,7,2; NBA VII/2, pag. 193]. Nell’esperienza di Zaccheo tutto questo è ancor più evidente.
Come avrete notato ascoltando la pagina evangelica, accade nella peccatrice perdonata un fatto davvero straordinario. Possiamo narrarlo colle parole di Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me» [Gal 2,20]. Si opera un de-centramento dal proprio io al Tu di Cristo. La propria vita, il proprio sentire e pensare, le proprie scelte, tutto ciò che costruisce la propria persona non è più edificato sul proprio io ma in ordine ad in relazione a Cristo. «Nell’esperienza di un grande amore tutto si raccoglie, nell’esperienza io-tu, tutto ciò che accade diventa un avvenimento dentro quell’ambito» [R. Guardini]. L’asse dell’esistenza è il rapporto con Cristo vivente nella sua Chiesa.
2. Cari fratelli e sorelle, il grande pellegrinaggio che fra poco inizierà è una grande metafora dell’evento accaduto alla donna di cui parla il Vangelo, e che può accadere in ciascuno di noi mediante la celebrazione eucaristica. È ancora S. Paolo che ci aiuta a cogliere il legame profondo fra la Parola ascoltata, il Mistero celebrato, il pellegrinaggio a Loreto.
Scrivendo ai cristiani di Filippi, egli dopo aver narrato il suo incontro con Cristo come evento che cambia radicalmente il suo io, dice: «non che io … sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo … dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta» [cfr. Fil 3,12-13].
Cari amici, l’incontro con Cristo “mette in movimento l’io” verso non qualcosa d’altro all’infuori di Cristo stesso. «Cerchiamo col desiderio di trovare, e troviamo col desiderio di cercare ancora», dice S. Agostino.
Ma arriverà il momento questa notte in cui vi sentirete stanchi, vi faranno male i piedi. Così prima o poi accade anche nella sequela di Gesù. E allora sei tentato di fermarti.
Non ci riesco: mi fanno male i piedi, e quindi non riesco a camminare dietro di Lui. E pensi che non ce la fai più a portare la croce di una malattia o di una grave sofferenza; che non sopporti più i tuoi genitori; che stai consumando i tuoi giorni perché non ti impegni nel lavoro o nello studio; che non riesci a non avere rapporti sessuali colla tua ragazza/o prima del matrimonio.
Ascolta quanto scrisse uno che per anni avvertì queste stesse difficoltà, anche quando aveva già capito che solo seguendo Gesù avrebbe trovato la vera gioia. Si tratta di S. Agostino, che dice: «forse tenti di camminare, e ti dolgono i piedi e ti dolgono perché … hai percorso duri sentieri. Ma il Verbo di Dio è venuto a guarire anche gli storpi. Ecco, dici, io ho i piedi sani, ma non riesco a vedere la via. Ebbene, egli ha illuminato anche i ciechi» [Comm. al vangelo di Giov. 34,9; NBA XXIV, pag. 725].
Cari fratelli e sorelle: Cristo è tutto. È la via; è la meta; è la forza che ci fa camminare. Amen