LORETO — Una marcia di fede che si snoda tra le colline prima di arrivare alla Santa Casa: è il pellegrinaggio Macerata - Loreto che stasera richiamerà, come ormai capita da 27 anni, tantissime persone provenienti da ogni parte d’Italia. «L’idea — ricorda don Giancarlo Vecerrica, oggi vescovo di Fabriano-Matelica e nel 1978 giovane insegnante di religione — era nata per coinvolgere i giovani alla conclusione dell’anno scolastico e come forma di ringraziamento. Il mio desiderio era di voler fare qualcosa perché i ragazzi vivessero le vacanze coma una bella esperienza, e così tra il 1970 e il 1978 ho organizzato dei campi di lavoro assieme ai contadini di Collevario. Poi terminata quell’esperienza ho pensato al pellegrinaggio riscoprendo una tradizione perché quel cammino era fatto da gruppi di famiglie alla conclusione di ogni attività».
Da allora sono trascorsi ventisette anni. Qual è il segreto di questa longevità?
«La spinta che mi ha dato Papa Giovanni Paolo II, anche lui animatore di pellegrinaggi in Polonia. Mi ricordo che nel 1978 portai a Loreto, in occasione di una sua visita, duemila giovani del pellegrinaggio per la veglia al Santo Padre. Quando ci incontrammo mi abbracciò e mi disse che avrei dovuto curare quei giovani uno ad uno. Da quel momento ho deciso assieme ai miei collaboratori di dare continuità a questa esperienza».
Cosa ha lasciato il Pellegrinaggio a don Giancarlo?
«Entusiasmo per la vita e per la fede. Mi ha riconfermato nel mio sacerdozio e nella mia dedizione ai giovani e mi ha spinto ancor di più a vivere la mia esistenza come offerta al Signore attraverso la Madonna».
E cosa ha lasciato ai partecipanti?
«La voglia di continuare tanto è vero che moltissimi ritornano di nuovo. Poi lascia un’esperienza di fede che impegna la propria persona. Il pellegrinaggio è sacrificio, è impegno e allora partecipi perché capisci che vale la pena consegnare la vita al Signore attraverso questa esperienza. Alla fine della marcia la gente si sente più ricca perché il cammino è diretto verso mete grandi».
In questi anni non sono mancati momenti toccanti: ne ricorda qualcuno in particolare?
«E come potrei dimenticare gli incontri con il papa Giovanni Paolo II e con don Giussani, ai quali questo pellegrinaggio è dedicato. Mi sentivo incoraggiato, sostenuto, valorizzato da queste presenze. E poi ci sono stati tanti altri incontri con persone famose e non, ci sono state testimonianze di giovani usciti dalla droga, dall’alcol, da esperienze negative che, magari sono capitati lì per caso, ma sono usciti cambiati e rinnovati dal pellegrinaggio»
Cosa ricorda in particolare dell’incontro con il papa Giovanni Paolo II?
«Il momento più bello è stato quando mi ha consegnato la croce e con la croce donata dal Papa mi sono messo in testa a quel popolo in marcia. Mi ricordo il momento in cui ci siamo guardati intensamente negli occhi senza scambiarci una parola. Io ero in attesa di lui e il papa mi guardava finquando il silenzio è stato interrotto dalle sue parole: «quanto vorrei camminare con voi».
Di questa esperienza, che si ripete dal 1978, ne ha parlato con Benedetto XVI?
«Lunedì scorso ho incontrato il Pontefice al quale ho chiesto la benedizione per le mie due diocesi, poi gli ho anche detto che l’11 giugno avrei fatto il pellegrinaggio e l’avremmo dedicato al papa e durante la marcia avremmo pregato per lui. A quel punto ha sgranato gli occhi e mi ha guardato sorpreso, poi mi ha detto "grazie, grazie"».
Qual è il significato del pellegrinaggio?
«E’ il paradigma della nostra esistenza. Ci dà l’idea che la vita è camminare verso una meta, e Loreto è un luogo carico di significati perché lì è presente il Mistero, è il luogo dell’Annunciazione. E quindi la vita non deve essere un camminare a vuoto e per questa ragione è stato coniato lo slogan "pellegrini, non vagabondi". C’è anche un altro significato, insieme si va verso Dio perché il Mistero è offerto a tutti e tutti ci sentiamo coinvolti. Per questa ragione al pellegrinaggio partecipano anche i non credenti».
Ma non è una contraddizione?
«Anche chi non crede ha un cuore aperto, è alla ricerca, è in attesa. I grandi della letteratura hanno espresso genialmente la dimensione religiosa del cuore di tutti, penso a Leopardi, Montale e Pavese. Un uomo vero è sempre alla ricerca».
Come si inseriscono in questo momento di festa le testimonianze di persone che hanno vissuto il dramma della guerra?
«Ripeto, il pellegrinaggio è il paradigma della vita che si presenta nella sua drammaticità, perciò è importante che la vita sia vera dentro il pellegrinaggio. Noi sentiamo il desiderio di portare tutto il mondo a incontrare il Mistero che può essere la risposta a domande impossibili. Ho visto persone che hanno vissuto drammi terribili (guerra e violenza) che si sentivano confortati e sostenuti da questo incontro nel pellegrinaggio. Il Signore non ci lascia mai soli».