Le telefonate di Papa Francesco, una storia di paternità e di amicizia
Ogni singola persona che in questi 42 anni abbia solo sfiorato l’esperienza del Pellegrinaggio Macerata-Loreto porta impresso nella mente un ricordo unico, particolare. Ma c’è un’immagine che sicuramente abita il cuore di tutte le migliaia e migliaia di pellegrini - che è forse l’immagine più iconica di questo impressionante gesto di fede popolare che sopravvive al tempo - ed è quel fiume festoso di gente che scorre sulla discesa di Montereale dopo aver camminato per tutta la notte. C’è chi vive quel momento, da dentro, come una piccola goccia di quel fiume in piena; c’è chi lo osserva affacciato dalle case o ai bordi della strada; c’è chi ne rimane colpito da un passaggio in tv o da una foto o da un racconto; ma da qualsiasi angolatura ci si trovi a fare i conti con quest’immagine si è travolti da un moto di commozione e si rimane inchiodati ad una domanda: che cosa ha da cantare questa gente?
Il libro Gli "squilli" di Francesco a cura di Daniela Fabiani, appena uscito per la Libreria Editrice Vaticana, ci aiuta a rispondere a questa domanda. Il testo raccoglie gli interventi telefonici di Papa Francesco che da otto anni aprono il Pellegrinaggio Macerata-Loreto e una selezione di messaggi, lettere, mail di pellegrini che raccontano la loro esperienza nell’ascolto delle parole del Papa.
La cosa che colpisce è rintracciare, nella diversità della storia particolare di ogni pellegrino, una trama comune. La potenza di quel breve saluto del Pontefice si capisce soprattutto se si fissa ciò che provoca in chi lo ascolta: “mi sono sentito sollevato”, “ho fatto esperienza della tenerezza di Gesù”, “la sua paternità rafforza la mia fede”, “mi sono sentita accompagnata”, eccetera.
Ogni singola persona si sente, in maniera totalmente imprevedibile, toccata e risvegliata dalla voce del Papa. Quelle poche parole vanno a toccare un “punto infiammato” che alberga nel cuore di ogni pellegrino, un fuoco che, più o meno confusamente, in mezzo al caos e alle fatiche della vita, spinge a partire per un cammino notturno di ventotto km; un punto spesso sopito nella distrazione quotidiana che le parole del Papa riescono a liberare. E riescono a farlo innanzitutto per una straordinaria capacità di lettura dell'umano di ciascuno, perché solo chi percepisce la natura del problema è capace di offrire una risposta all'altezza: "il pellegrino che arriva al santuario è spesso stanco, affamato, assetato... [...] Deve sentirsi a casa sua, atteso, amato, guardato con occhi di misericordia". Guardato con occhi di misericordia, è questa la chiave che è capace di aprire il cuore di ogni uomo e di accenderlo come un fuoco, è questo sguardo sconfinato di misericordia che ravviva la speranza, che ridona il coraggio di fronte alle sfide della vita. È questa stima e passione sconfinata per l'uomo che è capace di fare vera compagnia e dare l'energia per mettersi in cammino nel pellegrinaggio della vita. Ed è proprio questa corrispondenza straordinaria che accende il volto di quei pellegrini stremati lungo la discesa di Montereale e rende ragione di quel canto che tocca il cuore di chiunque lo ascolti.
Due termini si ripetono con frequenza nelle lettere dei pellegrini per descrivere le parole del Papa: "semplice" e "profondo". Ed è forse in questi due aggettivi che è racchiuso il segreto della forza del messaggio del Papa. Perché è di questo che l'uomo di ogni latitudine ha bisogno; ha bisogno di semplicità, cioè di una presenza presente, concreta, familiare e non di una dottrina lontana e vuota; e poi ha bisogno di profondità, cioè di qualcosa che buchi la superficie e tocchi la parte più vera e autentica di sé, quel punto infiammato che il mondo con la nostra complicità lascia a dormire sotto la cenere ma non è capace di annullare definitivamente.
E sono proprio gli stessi aggettivi con cui potremmo descrivere il gesto del Pellegrinaggio e che forse gli permettono di reggere l'urto del tempo rendendolo ancora oggi così attraente e pertinente al bisogno dell'uomo di oggi.
Così il libro di Daniela Fabiani ci aiuta ad entrare ancora di più nel mistero di quelle domande che cuore e ragione non possono trattenere quando si imbattono in quel fiume di gente che canta all'alba lungo la discesa di Montereale. Quel popolo canta perché è un popolo ricolmo di speranza. La speranza che viene dall'essere ancorati allo sguardo di un padre che ci guarda come Papa Francesco, con una tenerezza verso il mio umano ferito che nessun male può recidere. E non ci serve chissà quale discorso, in fondo abbiamo bisogno solo di continuare a sentire la Sua voce. Come ci ricorda il teologo Möhler: "Io penso che non potrei più vivere se non Lo sentissi più parlare".
Davide Tartaglia