Papa Francesco rinnova il suo affetto al popolo del Pellegrinaggio
MACERATA - «La veste da vescovo con le scarpe da tennis: una bella macedonia!» Il Papa, anche quest’anno, non ha tradito le aspettative delle migliaia di persone in partenza per il 41° Pellegrinaggio a Loreto. E lo ha fatto a modo suo: cordiale e gioviale. Alle 20.31, il suo accento inconfondibile ha scatenato l’applauso di quanti gremivano il campo dell’Helvia Recina e gli spazi circostanti. Dopo la battuta, le parole affettuose: «Questa sera vi sono vicino nel peregrinare. Peregrinare è camminare. È fare in una sera quello che si fa in tutta la vita: andare avanti. Nella vita si deve sempre camminare. Anche quando siamo nel riposo, dobbiamo camminare con lo spirito, per andare sempre avanti, all’incontro con la pienezza. La pienezza di Gesù. La pienezza per tutti noi». «Saremo i discepoli missionari di Papa Francesco», ha promesso monsignor Giancarlo Vecerrica. «Così mi piace. Avanti e coraggio!», è stata la risposta.
Dopo il saluto del Papa, e l’arrivo della fiaccola per la pace, il cardinal Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha celebrato la Messa insieme a numerosi sacerdoti e vescovi delle Marche, alla presenza di autorità politiche e militari della Regione. Nel suo saluto, il vescovo di Macerata, Marconi, ha augurato a tutti «nella notte, “strada facendo”, tenuti per mano da Maria, di scoprire la verità della mente e del cuore “che non sei più da solo”».Nell’omelia, il cardinale ha affermato che la sua presenza stava «a testimoniare la premura di tutta la Chiesa italiana per questa grande manifestazione di popolo che esprime la fede e la pietà cristiana, così profonde nell’animo di tutti gli italiani». Dopo aver raccomandato a tutti di aver fiducia nello Spirito Santo, il presidente della Cei è entrato nel vivo dei problemi contemporanei, affidandosi al Paraclito, «perché lo Spirito è un amico fedele, che ci riporta sulla retta via, quando sbandiamo». La prima preghiera è stata per l’Italia, “il nostro Paese”, «perché in ogni contrada si possa vivere nella pace e nella concordia, e cresca il senso della solidarietà fraterna». Poi «per i malati, gli anziani e i ricoverati negli ospedali». Ed infine «un grido di allarme nei confronti di un triste fenomeno che riguarda i nostri giovani: la mancanza di lavoro e di prospettive per il loro avvenire. Sappiamo ormai dalle cronache che intere regioni del nostro Paese si stanno spopolando: i giovani, privi di speranza per il futuro, scappano. È triste quel Paese che non sa dare speranza ai propri figli! È triste quel Paese che non sa progettare il futuro, che non riesce a sanare le ferite della propria storia». Da buon vescovo umbro, non ha potuto dimenticare «le persone che ancora vivono nella precarietà a causa del terremoto. Sono passati tre anni dal sisma del 2016 e ancora la ricostruzione si fa attendere».
La Messa è stata preceduta da alcune testimonianze. Jonata, di Firenze, ha raccontato la sua vita con Caterina, dal giorno del matrimonio alla morte della moglie, dopo una via Crucis di sette anni. Un cammino fatto di speranze (ad un certo punto il male era scomparso, avevano avuto un figlio) e di prove «fino a che il Signore le ha chiesto tutto. E lei glieLo ha dato. Non tutto in una volta, ma piuttosto in un cammino, quello della sua croce». Al funerale di Caterina, nella Basilica della Santissima Annunziata di Firenze, c’erano più di 1.500 persone a far festa, con canti e fuochi d’artificio, come voleva lei. «Quel vuoto – ha concluso Jonata – non è mai stato vuoto. È stato colmato con qualcos’altro. Qualcosa che non avverti, se ti muovi troppo bruscamente. Ma se fai attenzione e ti appoggi con delicatezza, ti sostiene. Una compagnia che non finisce più».
Infine l’intervento di Tilly, una dirigente di azienda di Algeri, venuta dal suo Paese proprio per portare una testimonianza al Pellegrinaggio. Dal 1990 al 2000, in Algeria, sono morte 200 mila persone. Anche la Chiesa ha pagato il suo contributo di sangue: un vescovo e quaranta religiosi, per i quali l’8 dicembre dell’anno scorso, ad Algeri, è iniziato il processo di beatificazione. Fra costoro ci sono anche i sette monaci uccisi a Tibrine; di uno di essi, Tilly era amica personale. «Da algerina e cattolica, ho dovuto confrontarmi con le sofferenze del mio Paese – ha detto – Questi martiri avevano la possibilità di partire e mettersi in salvo, ma hanno deciso di rimanere, fedeli alla loro vocazione e alla popolazione, da cui erano rispettati e amati. Una fedeltà così va ben oltre l’umano, ma ha le sue radici nel sacrificio di Gesù.
Grazie a loro, ho acquisito una maggiore consapevolezza del valore che ha vivere insieme nella grazia di chi ha dato tutto per l’umanità. Vorrei che tutto questo servisse per un mondo di solidarietà e pace, nel rispetto e nel dialogo fra tutti gli uomini, al di là della loro origine e delle loro religioni». Monsignor Giampietro Dal Toso, presidente delle Pontificie opere missionarie, ha ringraziato per l’adesione del Pellegrinaggio al mese missionario straordinario indetto dal Papa per il prossimo ottobre.
“Tempi difficili i nostri, in cui la crisi ha portato insicurezza, paura e rabbia. C’è il pericolo di chiudersi in se stessi e seppellire i talenti ricevuti in dono, perché la paura porta alla paura e non fa agire. L’antidoto è la consapevolezza che ognuno è prezioso agli occhi del Signore, perché Dio sa contare solo fino ad uno. Per questo l’altro, amato da Dio come me, non è qualcuno da cui devo difendermi ma un altro me stesso”
“La solitudine è inscritta nella nostra natura di essere unici e irripetibili, ma possiamo trasformarla in compagnia se non ci limitiamo a camminare fianco a fianco agli altri ma se alziamo lo sguardo al vero e unico capogruppo: quel Gesù che ha portato con se sulla croce tutte le tragedie di ogni uomo e del mondo”.